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Rimedi dolore cervicale

Come riconoscere il dolore cervicale

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Il dolore cervicale, anche detto cervicalgia, consiste in una sintomatologia dolorosa che colpisce la parte posteriore del collo, in corrispondenza delle vertebre cervicali.

Talvolta il dolore può coinvolgere anche la zona delle spalle e può essere di diversa intensità; generalmente, si risolve spontaneamente entro un paio di giorni.

Il dolore cervicale provoca spesso difficoltà di movimento, soprattutto quando si irradia verso le spalle. Le vertebre cervicali, infatti, sono responsabili del movimento della testa. Dunque, qualsiasi movimento del capo diventa più difficoltoso e doloroso quando si soffre di cervicalgia.

Le cause più comuni della cervicalgia sono legate a dei danni più o meno gravi di muscoli o dei legamenti della zona cervicale.

Tra le cause più frequenti vi sono ad esempio stiramenti e contratture, che possono essere provocate da traumi, cattiva postura o stress meccanico eccessivo a carico di questa zona.

Tuttavia, il dolore cervicale può essere anche un sintomo di una patologia sottostante, come l’artrite reumatoide a livello delle articolazioni cervicali oppure una discopatia cervicale (ovvero un danneggiamento del disco che separa due vertebre).

Nonostante il dolore cervicale sia più frequente con l’avanzare dell’età, anche le persone più giovani possono soffrirne, soprattutto quando esso origina da traumi o da una cattiva postura.

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Cosa fare per trattare il dolore cervicale

Se il dolore cervicale è particolarmente intenso o non accenna a diminuire, è bene consultare un medico.

Gli specialisti di riferimento in questo caso sono il fisiatra e l’ortopedico, che collaborano frequentemente con un fisioterapista per definire le migliori opzioni di trattamento terapeutico per il paziente.

Per definire quale trattamento intraprendere, è innanzitutto necessario capire qual è la causa del dolore riferito dal paziente. Per farlo, lo specialista si basa sull’anamnesi del paziente e sull’esame obiettivo.

Durante la visita viene dunque approfondita l’origine dei sintomi e il tipo di dolore avvertito; vengono raccolte, inoltre, importanti informazioni relative allo stile di vita del paziente. Questo procedimento serve ad escludere dalla diagnosi alcune patologie.

Generalmente, se non è legato a particolari patologie sottostanti, il dolore cervicale si risolve in maniera spontanea. Tuttavia, il medico specialista può intraprendere diverse opzioni di trattamento.

Il trattamento principale prevede un’unione di farmaci e di esercizi di fisioterapia che il paziente può svolgere anche in maniera autonoma. Inoltre, viene frequentemente consigliato al paziente di porre più attenzione al suo stile di vita quotidiano, evitando sedentarietà e posture scorrette.

Dolore cervicale

Esercizi e fisioterapia

La fisioterapia rappresenta un importante mezzo terapeutico per chi soffre di dolori cervicali.

Il fisioterapista può agire sui sintomi del paziente sia attraverso la manipolazione, sia attraverso terapie strumentali.

Tra le terapie strumentali più utilizzate per trattare i dolori cervicali vi è la tecarterapia. Questa terapia impiega una piastra che genera calore all’interno dell’area sottoposta a trattamento, riducendo il dolore e accelerando la riparazione dei tessuti.

La tecarterapia e le altre terapie strumentali devono essere impiegate all’interno di un piano terapeutico integrato, che prevede spesso anche l’esecuzione di particolari esercizi di fisioterapia.

Gli esercizi possono essere insegnati dal fisioterapista e poi eseguiti in autonomia dal paziente con costanza e continuità. Tuttavia, è importante che gli esercizi vengano eseguiti senza provare dolore, per evitare di peggiorare la sintomatologia dolorosa.

Gli esercizi di fisioterapia per il dolore cervicale sono mirati a incrementare forza ed elasticità dei muscoli del tratto cervicale.

Alcuni esercizi sono molto semplici e si basano sulla pratica dello stretching, ovvero di allungare i muscoli per alcuni secondi.

Tutti gli esercizi che si eseguono devono essere sempre approvati e prescritti da un fisioterapista esperto, che analizza attentamente la condizione complessiva del paziente e definisce un trattamento personalizzato e specifico.

Di seguito si segnalano alcuni degli esercizi prescritti più frequentemente per il dolore cervicale. Gli esercizi sono descritti solo a scopo divulgativo e se ne sconsiglia l’esecuzione senza la supervisione e/o l’approvazione da parte di uno specialista di riferimento.

La frequenza e il numero di ripetizioni dell’esercizio devono essere sempre indicate dal fisioterapista che segue il paziente.

Flessione dei muscoli del collo

Questo esercizio consiste in una serie di movimenti del collo da eseguire in posizione seduta con la schiena e la testa dritte.

Una volta assunta questa posizione, iniziare a flettere lentamente e con cautela la testa a destra e poi a sinistra, ripetendo questo movimento per alcune volte.

In seguito, ripetere il movimento di flessione della testa in avanti, avvicinando il mento al petto e riportando poi la testa in posizione dritta. Dopo aver ripetuto la flessione in avanti per alcune volte, eseguire lo stesso movimento di flessione anche all’indietro.

Stretching del muscolo trapezio

Per allungare il muscolo trapezio, il paziente inclina la testa da un lato, cercando di toccare la spalla con l’orecchio.

Con la mano opposta si cerca di amplificare il movimento (senza arrivare mai al punto di provare dolore). La posizione viene mantenuta per diversi secondi mentre si compiono respiri lenti e profondi.

Flessione del mento verso lo sterno

Un altro esercizio consiste nell’assumere una posizione supina, piegando poi le ginocchia e poggiando i piedi a terra.

In questa posizione, eseguire un lento movimento di flessione portando il mento verso lo sterno. Mantenere la posizione per alcuni secondi, per poi riportare la testa a terra. Ripetere il movimento per il numero di volte consigliato dal fisioterapista.

Esercizi dolore cervicale

Trattamento farmacologico

I farmaci che vengono prescritti più frequentemente agiscono riducendo la sintomatologia dolorosa. Dunque, è bene ricordare che essi rappresentano un mezzo per trattare il sintomo, senza rimuovere la causa sottostante.

Il trattamento farmacologico per i dolori cervicale prevede la somministrazione di farmaci ad azione analgesica e antinfiammatoria, principalmente FANS (antinfiammatori non steroidei) e paracetamolo.

Tuttavia, anche in questo caso i farmaci da assumere devono essere prescritti e consigliati da uno specialista di riferimento.

Alimentazione

Alcuni studi hanno evidenziato l’esistenza di una stretta relazione tra l’alimentazione e i dolori cervicali.

Sembra, infatti, che alcuni problemi digestivi (come la gastrite) possano provocare dolore cervicale, ad esempio attraverso l’infiammazione del nervo vago. Per questo motivo, per trattare e prevenire i dolori cervicali è bene prestare attenzione anche alla propria alimentazione.

Per ridurre e prevenire l’infiammazione che genera il dolore cervicale, è importante mantenere un adeguato livello di idratazione, bevendo almeno un litro e mezzo d’acqua al giorno ed evitando i cibi ricchi di sodio (ad esempio i salumi).

Durante un episodio di cervicalgia, può essere utile fare particolare attenzione alla propria dieta, consumando prevalentemente cibi ad azione antinfiammatoria, come verdura, frutta (in particolari frutti rossi), pesce. È bene, invece, evitare tutte quelle sostanze che possano favorire problemi digestivi, come caffè, alcool o cibo da fast food.

Altri consigli pratici

Il dolore cervicale rappresenta una condizione che, nella maggior parte dei casi, si risolve spontaneamente.

Quando si avverte il dolore alla zona cervicale, è consigliabile concedersi un periodo di riposo al fine di non generare un sovraccarico funzionale eccessivo su questa zona. Durante questo periodo è importante, dunque, evitare tutti quei movimenti che potrebbero causare uno stress eccessivo alle vertebre cervicali.

Inoltre, è possibile provare a trattare il dolore cervicale attraverso degli impacchi freddi e caldi, che possono essere preparati in casa e applicati per circa 20 minuti sulla zona dolorante più volte al giorno.

Gli impacchi freddi, infatti, rappresentano una forma di crioterapia, in grado di ridurre l’infiammazione nella zona trattata. Il calore, invece, genera un effetto di rilassamento dei muscoli.

Nonostante questo rimedio casalingo possa rivelarsi utile, se si continua a provare dolore o ci si accorge che gli episodi di dolore cervicale diventano frequenti, è bene rivolgersi a un medico.

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Come prevenire il dolore alla cervicale

Adottare un corretto stile di vita rappresenta uno dei fattori più importanti nella prevenzione del dolore cervicale.

Non solo è fondamentale mantenere un’adeguata idratazione e seguire una dieta bilanciata, ma è importante anche fare regolare esercizio fisico e tenere sotto controllo lo stress. Infatti, stress e ansia possono manifestarsi con diversi sintomi somatici, tra cui anche il dolore cervicale.

Anche fare attenzione alla postura che si assume nelle proprie attività quotidiane è importante.

Il dolore cervicale, infatti, è spesso dovuto ad una postura scorretta e ad uno stile di vita sedentario.

Se la sintomatologia dolorosa è riconducibile a disordini posturali, il fisioterapista e gli altri specialisti di riferimento possono consigliare di seguire delle lezioni di ginnastica posturale.

La ginnastica posturale è un’attività fisica caratterizzata da un insieme di esercizi dedicati alla rieducazione motoria e funzionale del paziente. Il suo scopo è quello di riassestare il corretto equilibrio corporeo, prevenendo così lo sviluppo di condizioni di dolore cronico alla schiena.

Dove trovare un centro d’eccellenza a Roma nel trattamento del dolore cervicale

Studio Fisiomedical è un centro dotato di una grande equipe di medici ortopedici specializzati che collaborano insieme a dei fisioterapisti professionisti.

Da Studio Fisiomedical ci impegniamo per offrire ogni giorno ai nostri pazienti i migliori trattamenti: se hai bisogno di una visita medica o di un trattamento specialistico, nel nostro centro sarai seguito dal momento della diagnosi fino alla fase riabilitativa.

Il nostro centro è una struttura innovativa dotata anche di palestra per lezioni di ginnastica posturale e apparecchiature all’avanguardia.

Puoi trovarci in zona Flaminio, in via Andrea Sacchi 35.

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N.b. alcuni trattamenti, patologie e infortuni citati nel presente articolo sono descritti a scopo divulgativo.
Per conoscere quali terapie e controlli è possibile effettuare nel nostro centro, vi invitiamo a consultare le prestazioni indicate nella voce di menù presente nel nostro sito web.

Lombosciatalgia

Cos’è la lombosciatalgia

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Per lombosciatalgia si intende una condizione dolorosa che interessa la schiena nella zona lombare, ovvero quella parte che si trova in fondo alla schiena.

Il dolore tipico della lombosciatalgia non coinvolge solo la schiena, ma si diffonde solitamente lungo uno dei glutei e arriva fino agli arti inferiori, arrivando ad interessare anche il piede.

I pazienti che soffrono di questa patologia possono riferire tipi di dolori diversi. Per alcuni il dolore è simile ad una sensazione di bruciore, mentre altri riferiscono di percepire una sorta di scossa elettrica in tutta la zona interessata.

Generalmente la sintomatologia dolorosa è monolaterale, ovvero coinvolge un solo lato del corpo.

La lombosciatalgia viene comunemente chiamata “sciatica”, poiché la sua causa risiede proprio nell’infiammazione del nervo sciatico.

Il nervo sciatico è uno dei nervi più lunghi del corpo umano. Si origina a partire dalla regione del gluteo, percorre la zona della coscia e l’intero arto inferiore, per poi diramarsi fino alla pianta e al dorso del piede.

Il nervo sciatico è un nervo misto, ovvero svolge sia la funzione di controllo motorio tipica dei nervi efferenti (anche detti nervi motori), sia la funzione sensitiva dei nervi afferenti (nervi sensitivi).

Per via della sua duplice natura, un danno del nervo sciatico può provocare non solo una sintomatologia dolorosa, ma anche un’importante limitazione del movimento e altri sintomi inerenti alla sfera motoria.

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Sintomi

Il sintomo principale della lombosciatalgia è rappresentato dal tipico dolore avvertito dai pazienti, che coinvolge la zona della schiena, del gluteo, della gamba e talvolta anche del piede.

La sintomatologia dolorosa può rendere difficile al paziente alcuni movimenti, come ad esempio sedersi e rialzarsi.

Generalmente il dolore si intensifica quando si compiono degli sforzi, ma se ne può avvertire un peggioramento anche quando si tossisce o starnutisce.

In caso di lombosciatalgia, possono presentarsi altri sintomi, che interessano le medesime parti colpite dal dolore:

  • Intorpidimento;
  • Sensazione di debolezza;
  • Perdita di sensibilità;
  • Parestesie (formicolii);
  • Difficoltà a camminare e zoppia.

Nei casi più gravi, il danno al nervo sciatico può portare anche a perdere la capacità di deambulazione o il controllo della vescica e delle funzioni intestinali.

Mal di schiena

Cause

La causa della lombosciatalgia consiste nell’infiammazione del nervo sciatico, provocata da un danno subìto dal nervo oppure da una sua compressione.

Questa infiammazione può essere provocata da diversi fattori scatenanti. Tra le cause più frequenti di lombosciatalgia vi sono:

  • Traumi che coinvolgono la zona lombare della schiena;
  • Ernia del disco;
  • Sindrome del piriforme: si tratta di una patologia in cui il muscolo piriforme (situato nella zona del gluteo) comprime il nervo sciatico; è spesso provocata da traumi e/o sforzi eccessivi;
  • Alterazione dei dischi intervertebrali a livello lombare e sacrale (discopatia).

Tra le cause più comuni, quella che si osserva più spesso come fattore scatenante della lombosciatalgia è l’ernia del disco.

La maggior parte dei casi di lombosciatalgia, infatti, è causata dal materiale discale fuoriuscito dal disco intervertebrale danneggiato (condizione tipica dell’ernia del disco). Tale materiale, fuoriuscendo dal disco, comprime una parte del nervo sciatico, generando infiammazione.

La lombosciatalgia può inoltre insorgere conseguentemente a un tumore spinale. In questo, infatti, la crescita della massa neoplastica può portare ad uno schiacciamento del nervo sciatico.

Tuttavia, una delle cause più frequenti di lombosciatalgia è la conduzione di uno stile di vita poco sano, caratterizzato in particolare da sovrappeso e sedentarietà.

Queste condizioni, infatti, rappresenterebbero due importanti fattori di rischio per l’alterazione della struttura della colonna vertebrale.

Un ulteriore fattore di rischio consiste nello svolgere particolari categorie di lavori, in particolare lavori che richiedono frequentemente di sollevare pesi sulla schiena, oppure che espongono al rischio di traumi nella zona lombare.

Trattamento

Per il trattamento della lombosciatalgia, generalmente l’opzione terapeutica più indicata prevede una combinazione di farmaci e fisioterapia.

Qualsiasi terapia prescritta, sia farmacologica che fisioterapica, deve sempre essere conseguente ad un’attenta valutazione da parte di figure mediche esperte, e rientrare all’interno di un programma terapeutico personalizzato e specifico per ogni paziente.

Per quanto riguarda la terapia farmacologica, al paziente possono essere prescritti antidolorifici e antinfiammatori non steroidei (FANS). Questi farmaci hanno l’obiettivo di ridurre l’infiammazione del nervo sciatico, riducendo così anche la sintomatologia dolorosa.

Allo stesso scopo possono essere impiegati anche farmaci miorilassanti.

Nella fase più acuta della malattia, è indicato il riposo assoluto. In questa fase, il fisioterapista esperto può utilizzare, in combinazione con la terapia farmacologica, alcune tecniche di terapia manuale utili a ridurre il dolore.

Gli strumenti fisioterapici utilizzati per il trattamento della lombosciatalgia sono tutti atti a ridurre l’infiammazione del nervo sciatico, e con essa la sintomatologia dolorosa che ne deriva.

Una delle terapie più utilizzate per questo scopo è la magnetoterapia. La magnetoterapia impiega dei campi magnetici generati a bassa intensità e dalla frequenza variabile. I campi magnetici generati hanno la capacità di agire sul potenziale d’azione delle cellule, stimolando così:

  • Migliore ossigenazione della cellula;
  • Migliore circolazione sanguigna;
  • Generazione di un effetto analgesico.

Quando il dolore acuto si riduce, il fisioterapista può impiegare anche terapie manuali in combinazione con degli specifici esercizi che vengono insegnati al paziente.

Al paziente viene inoltre consigliato di seguire un programma riabilitativo fisioterapico che gli consenta di prevenire ulteriori riacutizzazioni.

Nei casi in cui il dolore si protrae per molto tempo e non risponde alla terapia farmacologica, può essere indicata l’esecuzione di un intervento chirurgico. Tale intervento ha l’obiettivo di trattare la causa dell’infiammazione.

Se la lombosciatalgia è stata provocata dall’ernia del disco, ad esempio, si esegue una disectomia. Questa operazione consiste nella rimozione della parte del disco intervertebrale che, avendo subìto un danno, provoca l’infiammazione del nervo sciatico.

Lombosciatalgia Roma

Prevenzione

Per prevenire la lombosciatalgia, è importante innanzitutto identificare i possibili fattori di rischio che concorrono allo sviluppo della patologia.

Tra i fattori di rischio rientrano soprattutto lo stile di vita sedentario, il sovrappeso e il tipo di lavoro svolto.

La prevenzione della lombosciatalgia richiede dunque di:

  • Seguire un’alimentazione bilanciata e controllata;
  • Condurre una regolare attività fisica;
  • Essere molto cauti durante lavori che richiedono di sostenere un carico importante sulla schiena;
  • Fare attenzione al mantenimento di una postura corretta.

Per chi già ha sofferto di lombosciatalgia in passato, è opportuno intraprendere un percorso di fisioterapia mirato a evitare riacutizzazioni della patologia.

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Categorie a rischio

Tra le persone maggiormente a rischio di sviluppare lombosciatalgia troviamo:

  • Persone che seguono uno stile di vita sedentario;
  • Individui in condizione di sovrappeso;
  • Chi svolge lavori pesanti che richiedono di sollevare carichi importanti sulla schiena;
  • Persone di età avanzata;
  • Pazienti affetti da artrite e da diabete;
  • Individui che hanno subito traumi nella zona lombare della schiena.

Tra le categorie a rischio troviamo i pazienti affetti da diabete. Ciò avviene perché tra le complicanze del diabete può manifestarsi la neuropatia diabetica.

La neuropatia diabetica consiste in un’alterazione della funzionalità dei nervi periferici (tra i quali rientra anche il nervo sciatico). Tale alterazione può provocare disturbi sensitivi, di cui uno dei più comuni è il dolore.

Riabilitazione

Una volta superata la fase più acuta del dolore, nella quale è prescritto generalmente il riposo assoluto, al paziente viene consigliato un programma fisioterapico riabilitativo.

Anche in questo caso, il programma riabilitativo deve essere sempre personalizzato per lo specifico paziente e prendere in considerazione le sue condizioni di salute.

Il programma riabilitativo ha lo scopo di correggere la postura del paziente e di ottenere una maggiore flessibilità del tronco. Questi obiettivi sono funzionali ad evitare riacutizzazioni future della patologia.

La riabilitazione può prevedere sia manipolazioni da parte del fisioterapista, sia l’assegnazione di specifici esercizi da svolgere.

Può essere inoltre consigliato al paziente di seguire corsi di ginnastica posturale. L’attività fisica che si intraprende nel corso della ginnastica posturale mira, infatti, ad una rieducazione motoria e funzionale del paziente.

A chi rivolgersi

Gli specialisti di riferimento nel caso in cui si sospetti di soffrire di lombosciatalgia sono soprattutto il neurologo e il fisiatra, oltre che il neurochirurgo e l’ortopedico.

In fase di trattamento ci si può inoltre rivolgere ad un fisioterapista esperto per stabilire un programma terapeutico e riabilitativo personalizzato.

La diagnosi avviene primariamente attraverso l’esame obiettivo del paziente e attraverso lo studio della sua anamnesi, ovvero della sua storia clinica.

Tuttavia, i medici specialisti possono decidere di ricorrere anche ad altre strumentazioni utili a individuare la causa scatenante dei sintomi.

Possono essere prescritte, ad esempio, una TAC o una risonanza magnetica della colonna vertebrale per verificare la presenza di ernia del disco, degenerazioni dei dischi intervertebrali o tumori.

Inoltre, può essere condotto anche un esame elettromiografico per valutare la funzionalità dei nervi periferici.

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N.b. alcuni trattamenti, patologie e infortuni citati nel presente articolo sono descritti a scopo divulgativo.
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Spondiloartrosi

Cos’è la spondiloartrosi

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La spondiloartrosi consiste in una forma di artrosi che colpisce le articolazioni a livello della colonna vertebrale. È chiamata anche spondilodiscoartrosi.

L’artrosi può colpire l’intera colonna vertebrale (in questo caso la patologia viene detta “spondilosi”), oppure riguardare solo alcune sezioni di essa. Per questo motivo, si riconoscono diverse tipologie di spondiloartrosi:

  • Spondiloartrosi lombare (o lomboartrosi): quando l’artrosi colpisce il tratto lombare della colonna vertebrale;
  • Spondiloartrosi cervicale (o cervicoartrosi): nel caso in cui venga coinvolto il tratto cervicale;
  • Spondiloartrosi dorsale: ad essere colpito è il tratto dorsale; questa patologia ha però un’incidenza molto minore rispetto a lomboartrosi e cervicoartrosi.

L’artrosi è una malattia cronica e degenerativa, che consiste in un progressivo deterioramento del tessuto cartilagineo che riveste le ossa. Questo danno alla cartilagine fa sì che le articolazioni perdano la loro elasticità, e rende tendini e legamenti maggiormente soggetti a processi infiammatori.

Questa condizione provoca dolore e rigidità articolare nel paziente. Chiaramente, quando ciò avviene a livello della schiena, l’impatto della malattia sulla vita quotidiana del paziente è molto marcato.

Nella spondiloartrosi, ad essere colpita dal processo degenerativo tipico dell’artrosi è la cartilagine delle articolazioni intervertebrali.

La spondiloartrosi porta infatti a difficoltà di movimento, dolore, complessità nello svolgimento delle attività quotidiane, e può provocare anche una parziale perdita della propria autonomia.

Inoltre, lo sfregamento e lo stress a cui vengono sottoposte le ossa della colonna vertebrale possono portare alla formazione di osteofiti. Si tratta di escrescenze ossee che possono provocare dolore e facilitare l’insorgenza di processi infiammatori delle articolazioni.

Per questi motivi, è bene rivolgersi prontamente ad uno specialista che sia in grado di effettuare una diagnosi tempestiva e di prescrivere al paziente il miglior trattamento possibile.

Sintomi

I principali sintomi della spondiloartrosi sono:

  • Dolore a livello della schiena (la localizzazione del dolore sarà chiaramente diversa a seconda del tipo di spondiloartrosi di cui si soffre);
  • Il dolore può diffondersi anche lungo le braccia e/o le gambe;
  • Rigidità della colonna vertebrale;
  • Difficoltà di movimento della schiena;
  • Dolore che si accentua con il movimento o dopo essere rimasti a lungo in una posizione;
  • Parestesie: intorpidimento e sensazione di piccole scosse elettriche sulla colonna vertebrale.

I sintomi possono differenziarsi leggermente a seconda del tipo di spondiloartrosi.

Nella spondiloartrosi cervicale, ad esempio, i sintomi che si osservano possono essere legati alla pressione a livello di nervi spinali o anche del midollo spinale. Per questo motivo, si possono osservare:

  • Difficoltà di deambulazione;
  • Dolore che si espande dal collo fino alle spalle;
  • Perdita dell’equilibrio;
  • Rigidità a livello del collo;
  • Rumore di scricchiolio quando si muove il collo;
  • Spasmi a livello delle gambe.

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Cause

La spondiloartrosi può avere diverse cause, e può essere per questo ricondotta tre differenti categorie:

  • Artrosi primaria: deriva da una predisposizione familiare, ma non esistono delle cause note ben precise;
  • Artrosi secondaria: è derivante da fattori diversi rispetto alla familiarità con la malattia, come ad esempio traumi, disturbi metabolici, malattie infiammatorie;
  • Artrosi terziaria: è legata all’invecchiamento. Lo sviluppo di un certo grado di artrosi, infatti, è normale con l’avanzare dell’età, e si presenta a partire dai 50 anni.

Tra le cause della spondiloartrosi vi sono:

  • Traumi a livello della colonna vertebrale, anche di piccola entità;
  • Invecchiamento;
  • Ripetizione di movimenti che provocano un carico eccessivo a livello delle articolazioni della colonna vertebrale;
  • Alterazioni della normale postura (ad esempio cifosi e scoliosi);
  • Aver subito degli interventi chirurgici alla schiena, come ad esempio una rimozione di un’ernia del disco.

Vi sono, inoltre, alcuni fattori che espongono a un rischio maggiore di andare incontro all’insorgenza di spondiloartrosi.

Tra questi, vi sono età e sesso. Chiaramente, l’invecchiamento rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio per lo sviluppo di patologie degenerative a carico delle articolazioni.

Per quanto riguarda il sesso, invece, nelle donne intorno ai 50 anni si osserva una maggiore incidenza della spondiloartrosi. A contribuire allo sviluppo della malattia potrebbe essere, infatti, una modifica a livello della produzione degli estrogeni che avviene nel corso della menopausa.

Altri fattori di rischio sono rappresentati dal tipo di lavoro svolto e dallo stile di vita che si conduce.

Uno stile di vita poco sano, soprattutto caratterizzato da una condizione di sovrappeso e sedentarietà, può esporre a un maggiore rischio di sviluppare spondiloartrosi.

Inoltre, svolgere lavori ripetitivi, che prevedono di rimanere a lungo nella stessa posizione, oppure di compiere ripetutamente movimenti che esercitano carico e pressione sulla colonna vertebrale, aumenta il rischio di soffrire di questa malattia.

Trattamento

A seconda della gravità della spondiloartrosi, si può optare per un trattamento di tipo conservativo o chirurgico.

Tra le opzioni chirurgiche di trattamento della spondiloartrosi, vi è ad esempio la sostituzione di un disco vertebrale danneggiato con uno artificiale. Il tipo di intervento chirurgico da effettuare va comunque attentamente valutato a seconda delle condizioni cliniche del paziente.

Quando si opta per un trattamento di tipo conservativo, invece, si cerca innanzitutto di migliorare lo stile di vita del paziente. Per questo, si cerca di intervenire sulla dieta seguita e di incoraggiare il paziente ad eseguire più attività fisica.

L’opzione terapeutica maggiormente consigliata nel caso di trattamento conservativo della spondiloartrosi consiste nella combinazione di fisioterapia e antinfiammatori.

Lo specialista a cui ci si rivolge può prescrivere farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) che hanno l’obiettivo di ridurre l’infiammazione delle articolazioni, e con essa il dolore provato dal paziente.

Il fisioterapista, invece, assegna esercizi mirati che permettono al paziente di riuscire a recuperare parte dell’autonomia persa a causa del dolore provato, e che gli consentano di ricominciare ad effettuare le sue attività quotidiane senza dolore.

Gli esercizi devono essere sempre assegnati da un fisioterapista esperto, che definisce un piano terapeutico personalizzato sulla base della condizione e dei sintomi del paziente.

Tali esercizi vanno eseguiti in maniera costante, ma è indicato il riposo qualora sopraggiungesse un dolore eccessivo.

Durante il momento di riposo, però, è bene non tenere per troppo tempo la stessa posizione. Infatti, solitamente il dolore dovuto a spondiloartrosi peggiora quando si mantiene la stessa postura per diverso tempo.

Per trattare i sintomi della spondiloartrosi, è possibile eseguire diverse terapie manuali e strumentali che hanno l’obiettivo di ridurre dolore e infiammazione a livello articolare.

Prevenzione

La miglior forma di prevenzione della spondiloartrosi consiste nel seguire uno stile di vita sano, con una dieta equilibrata e regolare esecuzione di attività fisica.

Tali accorgimenti dovrebbero essere adottati soprattutto da coloro che sono consapevoli di una familiarità per questa patologia.

Lo svolgimento di regolare attività fisica è importante per rispondere ad alcuni dei fattori di rischio che incidono maggiormente sullo sviluppo della spondiloartrosi: la condizione di sovrappeso e di sedentarietà.

Anche il regolare svolgimento di sessioni di stretching è importante per ridurre gli effetti negativi generati da lavori ripetitivi che pongono pressione o peso sulla schiena, altro importante fattore di rischio.

Categorie a rischio

Avendo considerato i vari fattori di rischio e le cause della spondiloartrosi, si può affermare che i soggetti maggiormente a rischio di sviluppare questa patologia sono:

  • Persone di età superiore ai 50 anni;
  • Donne;
  • Individui con familiarità verso l’artrosi;
  • Lavoratori che svolgono mansioni ripetitive;
  • Persone che svolgono lavori che prevedono di sollevare pesi o di fare numerosi sforzi;
  • Pazienti che si sono sottoposti a interventi chirurgici a livello della colonna vertebrale;
  • Persone che hanno subito traumi alla schiena, anche lievi.

Tutte queste condizioni, infatti, per motivi diversi espongono al rischio di sviluppare la patologia.

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Riabilitazione

Per favorire la riduzione del dolore e dell’infiammazione articolare, si possono eseguire diverse terapie strumentali e manuali.

I trattamenti fisioterapici che si possono attuare in caso di spondiloartrosi sono molteplici. Tuttavia, essi devono essere sempre accuratamente valutati dal fisioterapista esperto all’interno di un piano terapeutico e riabilitativo personalizzato per il singolo paziente.

Tecarterapia

La tecarterapia consiste in un procedimento che, mediante una piastra, genera calore direttamente all’interno della zona sottoposta al trattamento.

La tecarterapia, mediante il calore generato dal dispositivo, è in grado di ridurre l’infiammazione a livello delle articolazioni.

TENS

TENS è l’acronimo di Transcutaneous Electrical Nerve Stimulation (stimolazione elettrica nervosa transcutanea) e l’obiettivo principale è quello di far diminuire la percezione di dolore al paziente favorendo la liberazione delle endorfine.

Questa terapia prevede l’erogazione di correnti elettriche bifasiche, la cui intensità viene decisa a seconda delle necessità terapeutiche.

Le correnti vengono erogate attraverso elettrodi adesivi posizionati sulla cute, e agiscono sulle fibre nervose sensitive, innalzando la soglia del dolore del paziente e favorendo la liberazione di endorfine, le quali hanno la capacità di ridurre il dolore provato.

Ultrasuoni

La terapia con ultrasuoni viene erogata attraverso vibrazioni acustiche di intensità variabile, non percepibili all’orecchio umano.

La penetrazione di queste onde sonore permette di ottenere un effetto simile a quello di un massaggio eseguito in profondità. Tra i principali benefici vi è dunque la riduzione del dolore e dell’infiammazione.

Massoterapia

La massoterapia consiste in una terapia manuale che si svolge attraverso una serie di tecniche di massaggio.

Questa forma di terapia è da considerare, infatti, come un insieme di tecniche che hanno lo scopo di far recuperare e far giungere il paziente al benessere, attraverso manipolazioni volte a curare processi che possono essere sia localizzati che generalizzati.

La massoterapia si concentra in particolare sull’area della schiena (Massoterapia lombare) e del collo (Massoterapia Cervicale). È dunque molto utile nel trattamento dei due principali tipi di spondiloartrosi più comuni.

Tra i benefici della massoterapia per patologie come la spondiloartrosi vi è la stimolazione del cervello al rilascio di endorfine e la riduzione dei segnali nervosi che sono responsabili della percezione del dolore.

A chi rivolgersi

La diagnosi di spondiloartrite viene generalmente effettuata da un ortopedico e/o da un reumatologo. Altri specialisti di riferimento sono neurochirurgo e il fisiatra.

Queste figure professionali esperte si occuperanno di inquadrare i sintomi riferiti dal paziente all’interno del corretto quadro diagnostico. Discuteranno, inoltre, con il paziente le possibilità terapeutiche da intraprendere.

Il fisioterapista, invece, si occupa di assegnare al paziente gli esercizi migliori per recuperare la piena capacità di movimento. Inoltre, il fisioterapista predispone, in accordo con le altre figure professionali specializzate, le terapie manuali o strumentali utili a ridurre il dolore provato dal paziente.

Dove trovi un centro d’eccellenza a Roma Flaminio

Studio Fisiomedical è un centro dotato di una grande equipe di medici ortopedici specializzati che collaborano insieme a dei fisioterapisti professionisti.

Da Studio Fisiomedical ci impegniamo per offrire ogni giorno ai nostri pazienti i migliori trattamenti: se hai bisogno di una visita medica o di un trattamento specialistico, nel nostro centro sarai seguito dal momento della diagnosi fino alla fase riabilitativa.

Il nostro centro è una struttura innovativa dotata anche di palestra per lezioni di ginnastica posturale e apparecchiature all’avanguardia.

Puoi trovarci in zona Flaminio, in via Andrea Sacchi 35.

Per ulteriori informazioni o per prendere un appuntamento con uno dei nostri specialisti puoi chiamare il numero 06 32651337.


N.b. alcuni trattamenti, patologie e infortuni citati nel presente articolo sono descritti a scopo divulgativo.
Per conoscere quali terapie e controlli è possibile effettuare nel nostro centro, vi invitiamo a consultare le prestazioni indicate nella voce di menù presente nel nostro sito web.

 

piede gonfio e dolorante

Piede gonfio e dolorante: sintomi, cause, cura a Roma

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Avere uno o entrambi i piedi gonfi e doloranti può essere un sintomo di diverse condizioni.

Molto spesso si tratta di uno stato transitorio che si risolve spontaneamente; tuttavia, se il gonfiore persiste ed è associato a forte dolore, è bene che si consulti uno specialista per escludere alcune importanti patologie.

La salute del piede è importante per via della sua fondamentale funzione nelle nostre attività quotidiane: il gonfiore del piede, specialmente se accompagnato da dolore, può essere un impedimento anche serio alla vita quotidiana del paziente.

Il gonfiore del piede si associa spesso al gonfiore diffuso delle gambe, e può essere associato a diverse condizioni più o meno preoccupanti.

Può essere dovuto semplicemente a stanchezza, ed è frequente durante l’estate (il calore, infatti, dilata i vasi sanguigni e per questo può provocare più facilmente gonfiore) e soprattutto nelle donne in gravidanza; tuttavia, può essere anche sintomo di condizioni più serie, come l’insufficienza cardiaca, diabete o una possibile trombosi venosa profonda.

In caso di persistenza dei sintomi, dunque, è bene rivolgersi ad uno specialista che possa valutare accuratamente lo stato del gonfiore e indirizzare il paziente verso il corretto trattamento.

Definizione

Il gonfiore di una parte del corpo è una condizione che può arrecare fastidio e disagio al paziente, soprattutto se accompagnato da indolenzimento della parte rigonfia.

Il gonfiore del piede è frequentemente dovuto ad un accumulo di liquidi nel tessuto adiposo che si trova sotto lo strato della cute.

Tale accumulo di liquidi può essere transitorio e verificarsi ad esempio a causa dell’uso di calzature scorrette, oppure può essere persistente ed essere sintomo di una ritenzione idrica dovuta a una qualche patologia sottostante.

Il gonfiore del piede può essere dovuto anche ad un accumulo di sangue. Questa condizione è più frequente in associazione con un trauma, uno stato di obesità o in caso di età avanzata del paziente.

Generalmente, in questi casi, l’accumulo di sangue tende a scomparire dopo un periodo di riposo, riducendo anche il gonfiore.

Al contrario, se l’accumulo di sangue che provoca il gonfiore non scompare, può essere sintomo di una disfunzione di vene o arterie, come nel caso di un’insufficienza venosa.

Il gonfiore, quando colpisce gli arti inferiori, può coinvolgere entrambi i piedi oppure solo un arto.

Nel caso di gravidanza, età avanzata, uso di calzature scorrette o stanchezza, il coinvolgimento di entrambi i piedi è più frequente.

Il gonfiore di un solo arto, invece, è più frequentemente sintomo di alcune patologie a livello circolatorio, come una trombosi venosa profonda, oppure di infezioni.

In caso di gonfiore, dunque, è bene rivolgersi prontamente al medico soprattutto in caso di:

  • Coinvolgimento di un solo piede;
  • Gonfiore improvviso e persistente;
  • Dolore particolarmente acuto;
  • Difficoltà a camminare.

Le patologie che possono essere associate al gonfiore del piede sono diverse. Il medico osserverà attentamente la condizione del paziente e i sintomi che riferisce al fine di formulare una diagnosi corretta.

Individuare la giusta diagnosi, infatti, è fondamentale per predisporre il miglior percorso terapeutico.

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Sintomi

Il gonfiore del piede è di per sé sintomo di una condizione sottostante. È bene dunque cercare di prestare attenzione a quali sono i sintomi in associazione che si presentano insieme al gonfiore al fine di riferirli con precisione al proprio medico curante.

I sintomi a cui si associa il piede gonfio e dolorante possono essere diversi. È importante prestare attenzione, ad esempio, al tipo di dolore che il paziente riferisce: nel caso di alcune patologie sarà una sensazione di indolenzimento, mentre nel caso di altre potrà essere un dolore acuto e intenso.

Il dolore, come il gonfiore stesso, può presentarsi in un solo punto del piede oppure essere diffuso all’intero arto: anche questa informazione fornirà un’indicazione importante per definire al meglio la diagnosi finale.

Come spiegato in precedenza, i sintomi che si presentano assieme al piede gonfio e dolorante possono variare in maniera importante a seconda della patologia da cui sono causati.

In genere, in caso di origine traumatica del gonfiore si osserveranno anche sintomi quali dolore intenso, localizzato in un solo punto (come anche il gonfiore), dolore che aumenta al tatto e si riduce con il riposo e difficoltà di deambulazione.

In caso di cause vascolari, invece, i sintomi riferiti più frequentemente oltre al gonfiore e al dolore (che possono essere bilaterali o concentrati in un solo piede), affaticamento, difficoltà nel compiere sforzi e respiro affannoso.

Cause

Le cause del piede gonfio e dolorante possono essere molte. Per questo motivo è bene far sempre riferimento al parere di un medico esperto che sappia correttamente identificare la causa dei sintomi del paziente.

Cause traumatiche

Le cause traumatiche più frequenti che possono causare gonfiore e dolore al piede sono contusioni, stiramenti e distorsioni. Esse sono soprattutto conseguenti a cadute accidentali o bruschi movimenti.

In questi casi il gonfiore è dovuto ad un accumulo di sangue che provoca infiammazione del tessuto circostante.

Il sintomo principale è, oltre al gonfiore, il dolore localizzato nel punto in cui è avvenuto il trauma. Potrebbero essere visibili anche degli ematomi.

A seconda della gravità della condizione del paziente potrebbe presentarsi difficoltà di deambulazione o difficoltà nel poggiare il piede a terra.

In caso di forte dolore e persistente difficoltà di deambulazione, o di un trauma particolarmente intenso, è bene recarsi in pronto soccorso per escludere potenziali fratture.

Cause vascolari e cardiache

Spesso una condizione di gonfiore al piede è imputabile a problemi al sistema vascolare o cardiaco.

Il gonfiore al piede può essere causato da un problema nel flusso ematico, frequentemente imputabile a un danno alle vene degli arti inferiori. Tra le patologie a livello cardiaco e vascolare che possono provocare dolore e gonfiore al piede troviamo:

  • Insufficienza venosa cronica: si sviluppa in seguito a un danno alle valvole delle vene più profonde, che si occupano di indirizzare il sangue verso il cuore. Quando le valvole non svolgono correttamente la loro funzione, la pressione nelle vene aumenta e l’afflusso del sangue si riduce: questo provoca un accumulo di liquidi nell’arto inferiore, che si manifesta come gonfiore. I sintomi frequenti sono sensazione di pesantezza delle gambe, un peggioramento del gonfiore quando si passa molto tempo in piedi, crampi, formicolio e presenza di vene varicose;
  • Insufficienza cardiaca: questa condizione si sviluppa quando il funzionamento del cuore è alterato nella sua azione di contrazione e rilassamento. Questo provoca un’alterazione del flusso sanguigno e accumuli di sangue a livello delle vene. I sintomi più frequenti oltre al gonfiore del piede sono difficoltà nel respiro, sensazione di fatica e difficoltà nel compiere sforzi.
  • Trombosi venosa profonda: è una delle complicanze dell’insufficienza cardiaca; anche questa condizione si associa frequentemente a gonfiore del piede, che si presenta in maniera particolarmente evidente su un solo arto. Nella trombosi venosa profonda il flusso ematico è ostacolato dalla formazione di coaguli di sangue, detti trombi. Il sintomo più evidente di questa condizione, quando il trombo si colloca a livello dell’arto inferiore, è il gonfiore del piede e della gamba. L’arto risulterà inoltre caldo e dolorante soprattutto al tatto.
  • Linfedema: questa patologia consiste in un accumulo di fluido linfatico nei vasi linfatici a causa di un danno o di una disfunzione di questi ultimi. Il fluido linfatico, accumulandosi, provoca gonfiore del tessuto circostante. I sintomi del linfedema, oltre al gonfiore dell’arto colpito, includono difficoltà di movimento dell’arto, pelle alterata nel suo colorito e maggiormente sensibile alle infezioni.

Artrite

La causa del gonfiore del piede può essere ricondotta anche all’artrite, una condizione di infiammazione, spesso cronica, delle articolazioni.

Esistono molte forme di artrite, ma tra le più conosciute vi sono l’artrite reumatoide e l’artrite gottosa. Entrambe queste patologie manifestano come sintomo arti gonfi e doloranti.

L’artrite reumatoide è una patologia infiammatoria che ha presumibilmente una causa autoimmune. Essa colpisce le articolazioni in modo simmetrico: dunque, quando l’artrite coinvolge gli arti inferiori, saranno entrambi i piedi ad essere colpiti.

I sintomi principali dell’artrite reumatoide sono articolazioni gonfie, doloranti e rigide. La rigidità si avverte soprattutto al risveglio o dopo un periodo di riposo e tende ad attenuarsi nel corso della giornata. Nel caso dell’artrite reumatoide, il gonfiore del piede è causato dall’azione del sistema immunitario che attacca la membrana sinoviale che si trova tra le articolazioni.

Nel caso dell’artrite gottosa, invece, il gonfiore è determinato dalla deposizione nell’articolazione di acido urico, provocata da una disfunzione metabolica. L’accumulo di acido urico determina un’infiammazione che è la causa del gonfiore del piede.

Altre cause

Il gonfiore del piede può essere determinato da molte altre cause, imputabili principalmente allo stile di vita individuale.

Tra le cause più comuni del piede gonfio e dolorante vi sono infatti:

  • Sovrappeso;
  • Fumo;
  • Sedentarietà;
  • Dieta con eccessivo apporto di sale.

Tutte queste condizioni, infatti, favoriscono la ritenzione idrica e dunque l’accumulo di liquidi in particolare nel piede e nelle gambe.

Tra le cause scatenanti di un piede gonfio può esserci chiaramente anche la scelta di un paio di scarpe non adeguato, ad esempio dalla taglia sbagliata, dalla punta stretta o dal tacco eccessivamente alto.

Piede gonfio cause

Trattamento e cura

Per trattare correttamente il piede in caso di gonfiore e dolore, è possibile impiegare diversi metodi.

Tutti i trattamenti devono essere comunque prescritti dal medico esperto, che valuterà attentamente l’evoluzione dei sintomi del paziente per predisporre la cura nel modo più adeguato. Il trattamento va infatti ovviamente definito in base alla causa scatenante del sintomo.

Nel caso in cui il piede gonfio e dolorante sia riconducibile a semplice stanchezza, al periodo estivo o all’età avanzata del paziente, il medico può consigliare dei piccoli accorgimenti nel proprio stile di vita, come migliorare la propria dieta riducendo l’apporto di sale, bere molta acqua e fare passeggiate regolari.

È possibile inoltre fare dei pediluvi con acqua calda per migliorare la circolazione sanguigna favorendo contrazione e rilassamento di vene e capillari.

Infine, è possibile utilizzare anche delle calze elastiche a compressione graduata, che migliorano la circolazione venosa grazie alla forte pressione esercitata a livello della caviglia, che si riduce a livello del polpaccio e della coscia.

Questo meccanismo favorisce la circolazione del sangue dal basso verso la parte alta del corpo. Le calze elastiche vengono utilizzate anche per prevenire la formazione di trombi e dunque evitare una trombosi venosa profonda.

Nel caso in cui il gonfiore sia dovuto ad una causa traumatica, il trattamento d’elezione consiste nell’immobilizzare arto, tenerlo sollevato, applicare regolarmente del ghiaccio e tenere a riposo la parte del corpo lesionata. È possibile consigliare al paziente l’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS). Questo trattamento consentirà di ridurre l’infiammazione e dunque il gonfiore dell’arto e di riassorbire l’edema.

Quando la causa del gonfiore è invece riconducibile ad una forma di artrite, il medico specialista dovrà valutare attentamente la condizione del paziente e predisporre un piano terapeutico personalizzato.

Il trattamento principale per l’artrite consiste infatti nell’abbinamento di farmaci (prevalentemente FANS) ad esercizi di fisioterapia. Il fisioterapista esperto potrà inoltre prescrivere al paziente alcuni trattamenti strumentali, come l’elettroterapia, la crioterapia o la terapia con ultrasuoni.

Prevenzione

Per prevenire il gonfiore e il dolore al piede è importante condurre uno stile di vita sano. In particolare, è bene:

  • Mantenere una dieta bilanciata;
  • Bere molta acqua;
  • Fare attività fisica regolare ma evitando sforzi eccessivi;
  • Evitare il fumo.

Inoltre, se si soffre spesso di questo genere di fastidio, è bene scegliere accuratamente le scarpe da indossare, evitando calzature scomode e preferendo, quando possibile, scarpe ortopediche.

Perché scegliere il nostro centro di eccellenza a Roma

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Il nostro centro è una struttura innovativa dotata anche di palestra per lezioni di ginnastica posturale e apparecchiature all’avanguardia.

Inoltre, grazie alle nostre partnership, se sei in possesso di assicurazione sanitaria potrai beneficiare dei nostri trattamenti in convenzione.

Dove ci trovi

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N.b. alcuni trattamenti, patologie e infortuni citati nel presente articolo sono descritti a scopo divulgativo.
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dolore pianta del piede

Dolore pianta del piede: definizione, cause, cura a Roma

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Il piede è la parte del nostro corpo che, più di ogni altra, è responsabile della nostra corretta deambulazione.

Il piede sostiene il nostro corpo e ci consente il movimento; dunque, se esso subisce infortuni o sviluppa una patologia, la nostra capacità di deambulazione viene danneggiata.

Il dolore alla pianta del piede, infatti, può rendere difficile anche il semplice atto di camminare, portandoci a modificare la nostra postura per evitare di provare dolore e creando così anche problemi posturali e possibili dolori alla schiena.

Nel piede sono presenti 28 ossa e 23 articolazioni, oltre a numerosi muscoli e tendini. Le ossa del piede si dividono in tre gruppi:

  • Tarso: ossa del tallone e della caviglia;
  • Metatarso: gruppo di 5 ossa lunghe che si posizionano tra il tarso e le falangi;
  • Falangi: gruppo osseo delle dita dei piedi.

Identificare correttamente la localizzazione del dolore è importante per capire quale sia la causa della condizione del paziente e dunque per predisporre un adeguato trattamento.

Infatti, le cause del dolore alla pianta del piede possono essere molte: è quindi necessario, al fine di una corretta diagnosi, prestare molta attenzione alla localizzazione del dolore e ai sintomi associati al dolore di cui il paziente soffre.

Definizione

Il dolore alla pianta del piede può essere sintomo di numerose condizioni patologiche.

Può essere transitorio e risolversi spontaneamente, oppure persistere e interferire in maniera più o meno marcata sulla possibilità di movimento del paziente.

Se il dolore persiste o si percepisce che la sensazione dolorosa continua ad aumentare, è sempre bene consultare uno specialista.

La sintomatologia dolorosa si concentra frequentemente su un solo piede; talvolta, però, coinvolge entrambi i piedi: in questo caso è probabile che la causa sia una patologia infiammatoria.

Il dolore può essere esteso all’intera pianta del piede, oppure manifestarsi solo in una sezione. Il piede può infatti essere diviso in tre sezioni:

  • Avampiede: zona a livello delle dita del piede;
  • Mesopiede: parte centrale;
  • Retropiede: zona del tallone.

Come spiegato in precedenza, individuare precisamente la localizzazione del dolore, assieme allo studio degli altri sintomi e del tipo di sensazione dolorosa provata dal paziente, è fondamentale per arrivare alla diagnosi corretta.

Sintomi

Il dolore alla pianta del piede si presenta frequentemente in associazione con altri sintomi.

I sintomi a cui si associa la pianta del piede dolorante aiuteranno il medico a comprendere la condizione del paziente e a definire il giusto percorso terapeutico.

Tra i sintomi che si manifestano insieme al dolore alla pianta del piede troviamo:

  • Intorpidimento;
  • Formicolio;
  • Bruciore alla pianta del piede;
  • Deformità del piede;
  • Difficoltà di deambulazione;
  • Riduzione della sensibilità cutanea;
  • Gonfiore della pianta del piede;
  • Prurito.

Anche il tipo di sensazione dolorosa può essere differente a seconda della patologia con cui si ha a che fare: il paziente può riferire una sensazione di indolenzimento oppure un dolore acuto e molto forte, diffuso per tutta la pianta del piede oppure concentrato in un singolo punto.

Il dolore può essere inoltre transitorio o persistente; può anche presentarsi solo in alcuni momenti o quando si compiono determinati movimenti, e può aumentare al tatto o meno.

Tutte queste sono informazioni cruciali per la formulazione della diagnosi.

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Cause

Le cause del dolore alla pianta del piede possono essere molteplici.

Tra le prime cause che si indagano vi è l’origine traumatica: fratture e distorsioni possono causare dolore in vari punti del piede, inclusa la pianta.

Una volta escluse le cause traumatiche e anche quelle dermatologiche, come calli e vesciche, si possono considerare altri fattori eziologici.

Le cause possono essere infatti:

  • Muscolo-scheletriche;
  • Vascolari;
  • Neurologiche

Ulteriore causa del dolore alla pianta dei piedi, specie se transitorio, può essere l’indossare spesso delle calzature non adeguate (ad esempio con una punta molto stretta o con un tacco alto).

Cause muscolo-scheletriche

Se il dolore alla pianta del piede è riconducibile ad una causa muscolo-scheletrica, esso si presenterà come un dolore che il paziente riferisce in prossimità delle articolazioni o dei tendini.

Spesso il dolore della pianta del piede dovuto a cause muscolo-scheletriche aumenta alla palpazione.

Tra le cause muscolo-scheletriche vi sono le seguenti patologie:

  • Artrite;
  • Fascite plantare;
  • Metatarsalgia;
  • Neuroma di Morton;
  • Cisti tendinee;
  • Alluce valgo;
  • Tendinite.

Artrite

L’artrite consiste in una patologia infiammatoria che colpisce una o più articolazioni. I sintomi dell’artrite, oltre al dolore, includono arrossamento, gonfiore e aumento della rigidità articolare.

Se l’artrite colpisce il piede, il paziente riferirà difficoltà nella deambulazione; possono essere presenti anche noduli reumatoidi e deformità del piede.

Fascite plantare

La fascite plantare causa frequentemente dolore al tallone. È una patologia che frequentemente colpisce gli sportivi ed è dovuta ad un sovraccarico eccessivo a livello del piede e a microtraumi ripetuti che provocano la degenerazione della fascia plantare.

In questo caso, il paziente riferirà un dolore acuto, che tende a peggiorare al risveglio o dopo un periodo di riposo.

Metatarsalgia

La metatarsalgia, come suggerisce il nome, provoca una sensazione dolorosa a livello delle ossa del metatarso. Questa patologia è dovuta ad un sovraccarico eccessivo di tale gruppo osseo.

Può essere provocata da vari fattori, tra cui il sovrappeso o l’uso di calzature non adeguate, ma può essere anche secondaria ad altre patologie, come il neuroma di Morton.

Neuroma di Morton

Il neuroma di Morton consiste nell’ispessimento del nervo che si trova tra il terzo e il quarto dito del piede, provocato da microtraumi di natura compressiva. Il sintomo principale riferito dal paziente in questo caso sarà un dolore di tipo trafittivo che si manifesta soprattutto quando il piede poggia a terra; tale dolore può associarsi ad una sensazione di formicolio.

Nel neuroma di Morton il paziente riferisce inoltre di periodi di dolore acuto che si alternano a periodi asintomatici.

Cisti tendinee

A provocare dolore alla pianta del piede possono essere anche le cisti tendinee. Si tratta di rigonfiamenti di liquido sinoviale che si collocano a livello di un tendine o di un’articolazione. Nonostante si manifestino più frequentemente a livello della mano, possono essere presenti anche nel piede.

Spesso le cisti tendinee sono asintomatiche, ma talvolta possono provocare formicolio, dolore e sensazione di intorpidimento.

Alluce valgo

Tra le patologie più comuni del piede vi è l’alluce valgo. Questa condizione consiste in uno spostamento dell’alluce verso le altre dita del piede; allo stesso tempo, la base dell’alluce tende a spostarsi verso l’esterno.

L’alluce valgo è una patologia che può provocare dolore e interferire in maniera importante con la capacità di movimento del paziente. Oltre a questi sintomi, possono manifestarsi ispessimento della pelle sulla base dell’alluce, rigonfiamenti o arrossamenti.

Tendinite

Infine, tra le patologie di natura muscolo-scheletrica che causano dolore alla pianta del piede troviamo la tendinite.

La tendinite consiste in un’infiammazione delle fibre che compongono il tendine. Può essere causata da traumi o sollecitazioni eccessive dei tendini del piede. In questo caso il dolore del paziente sarà localizzato e si accentuerà al movimento. Può essere accompagnato da gonfiore o lividi.

dolore piede cause

Cause vascolari

Quando il dolore della pianta del piede è riconducibile a cause vascolari, le principali patologie da prendere in considerazione sono:

  • Vasculite;
  • Diabete;
  • Aterosclerosi.

Vasculite

La vasculite consiste in una patologia infiammatoria dei vasi sanguigni. Talvolta la sua origine non è nota, ma può svilupparsi anche a causa di virus o infezioni.

I sintomi della vasculite possono colpire diversi apparati dell’organismo. A livello delle articolazioni può manifestarsi con gonfiore e dolore articolare, che possono essere associati a disturbi cutanei quali orticaria ed eruzioni cutanee.

Diabete

I pazienti affetti da diabete possono talvolta riferire dolore alla pianta del piede, che si associa a formicolio, intorpidimento e riduzione della sensibilità.

Questi sintomi, nei pazienti diabetici, sono provocati dalla riduzione dell’afflusso sanguigno ai piedi, che si manifesta soprattutto quando la patologia diabetica non viene tenuta adeguatamente sotto controllo.

Aterosclerosi

L’aterosclerosi è una malattia cronica che provoca un’infiammazione delle pareti delle arterie. È provocata dal deposito di lipidi nelle arterie, che causa un restringimento delle pareti dei vasi sanguigni.

I sintomi di questa patologia possono colpire anche il piede, provocando una zoppia intermittente che si accompagna a dolore, crampi, sensazione di debolezza e stanchezza. Il dolore tende a scomparire nel momento del riposo.

Cause neurologiche

Infine, tra le cause neurologiche che possono provocare dolore alla pianta del piede vi sono:

  • Sindrome del tunnel tarsale;
  • Alterazione della funzionalità dei nervi del piede.

Sindrome del tunnel tarsale

Il tunnel tarsale è un canale che si trova a livello della caviglia, all’interno del quale si trova un nervo: il nervo tibiale.

La sindrome del tunnel tarsale si manifesta quando il nervo tibiale subisce una compressione. I sintomi di tale sindrome includono: dolore sia a livello del tallone che della pianta dei piedi, fino ad arrivare anche alle dita, formicolio e alterazione della sensibilità.

Alterazioni della funzionalità dei nervi del piede

Anche gli altri nervi del piede possono essere soggetti ad alterazioni della loro funzionalità. Se ciò accade, si parla di neuropatia.

Questa condizione può provocare formicolio e alterare la percezione degli stimoli dolorosi: può accadere, ad esempio, che il paziente riferisca come doloroso uno stimolo che di fatto non lo è, o che la percezione del dolore risulti incrementata.

Trattamento e cura

Data la grande varietà di cause che possono provocare il dolore alla pianta del piede, non esiste un trattamento unico in grado di alleviare la condizione dolorosa del paziente.

A seconda della diagnosi, il medico specialista predisporrà il percorso terapeutico più adeguato.

Ad esempio, nel caso in cui il dolore sia dovuto a una causa traumatica, il trattamento sarà di tipo conservativo e prevederà l’immobilizzazione dell’arto, il riposo ed eventualmente l’uso di farmaci antinfiammatori nel caso di dolore intenso.

Generalmente questo è il trattamento che si adotta anche per molte patologie di origine muscolo-scheletrica.

Affidandosi ad un fisioterapista esperto, il paziente può farsi indicare specifici esercizi di stretching in grado di ridurre il dolore al piede, oppure beneficiare di interventi di terapia manuale.

A seconda dei casi e delle patologie sottostanti alla condizione del paziente, il fisioterapista potrebbe consigliare anche sedute di tecarterapia o di terapia con gli ultrasuoni.

Prevenzione

Assieme allo stile di vita, alcuni specifici accorgimenti giocano un ruolo fondamentale nella prevenzione del dolore al piede.

Per quanto riguarda lo stile di vita, è importante mantenere una dieta bilanciata, fare un’adeguata attività fisica, evitare il fumo.

Abbiamo infatti spiegato in precedenza come il sovrappeso, l’accumulo di lipidi e l’ispessimento delle pareti delle arterie costituiscano fattori di rischio di patologie vascolari che possono provocare dolore alla pianta del piede.

È bene inoltre porre particolare attenzione alla scelta delle calzature:

  • Scegliere scarpe della misura adatta, soprattutto per l’attività sportiva;
  • Indossare calzature comode;
  • Evitare di indossare spesso scarpe dalla punta stretta o dal tacco troppo alto;
  • Se si è consapevoli di avere familiarità per alcune patologie del piede (come ad esempio l’alluce valgo) indossare delle calzature ortopediche a scopo preventivo.

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Il nostro centro è composto da un’equipe di medici altamente specializzati in ortopedia e in fisioterapia, che collaborano costantemente per assicurare al paziente la massima qualità del loro intervento.

Studio Fisiomedical è una struttura innovativa dotata di palestra per lezioni di ginnastica posturale e apparecchiature all’avanguardia.

I nostri medici ti seguiranno con la massima professionalità dal momento della diagnosi fino al termine della riabilitazione.

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Lesione legamento spalla

Lesione legamento spalla: definizione, cause, cura a Roma

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La spalla è la parte del corpo umano che connette gli arti superiori con il tronco.

La spalla si compone di tre ossa:

  • Clavicola;
  • Scapola;
  • Omero.

Oltre a queste tre ossa, l’anatomia della spalla comprende:

  • Cinque articolazioni;
  • Quattro legamenti;
  • Tendini, muscoli e nervi che permettono il movimento;
  • Vasi sanguigni.

La spalla rende possibile l’articolazione delle braccia, dunque una qualsiasi lesione ai muscoli, alle articolazioni, ai legamenti o ai tendini della spalla potrebbe risultare in un’importante riduzione del movimento.

Identificare correttamente la localizzazione della lesione è fondamentale per predisporre un corretto piano terapeutico e per favorire la ripresa della mobilità del paziente.

Definizione

I legamenti e i tendini svolgono il compito di stabilizzare il legame tra omero e scapola.

Sebbene vengano spesso confusi tra loro, legamenti e tendini svolgono due funzioni distinte pur essendo entrambi composti da fibre di collagene di tipo I.

Mentre i tendini sono responsabili della connessione tra muscoli e ossa, i legamenti si occupano del legame di due capi ossei tra loro.

I legamenti della spalla sono quattro:

  • Il legamento gleno-omerale;
  • il legamento omerale trasverso;
  • legamento coraco-acromiale;
  • il legamento coraco-omerale.

I legamenti sono strutture molto resistenti, ma poco elastiche. Dunque, se sottoposti a traumi possono subire stiramenti, strappi e rotture.

Le lesioni ai legamenti sono tipicamente di origine traumatica, e possono provocare distorsioni.

La distorsione della spalla, infatti, è causata dalla lacerazione dei legamenti della spalla. La lacerazione dei legamenti può essere totale o parziale, e ad essere lacerati possono essere uno o più legamenti.

Un altro frequente tipo di lesione ai legamenti sono le lussazioni e le sublussazioni, che interessano i legamenti che si occupano di stabilizzare il rapporto tra omero e la cavità glenoidea.

La lesione ai legamenti può essere distinta in tre gradi, a seconda della sua gravità:

  • Lesione di I grado: il danno al legamento è minimo; il paziente riferisce dolore e limitato gonfiore della spalla, ma la funzionalità del legamento rimane integra.
  • Lesione di II grado: rottura parziale del legamento; circa il 50% delle fibre totali del legamento è stato danneggiato; il dolore riferito dal paziente è intenso e il movimento è ridotto.
  • Lesione di III grado: rottura completa del legamento, con dolore molto intenso riferito dal paziente; articolazione instabile e perdita totale della funzione del legamento.

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Sintomi

Chiaramente, tra i sintomi più comuni della lesione legamentosa vi è il dolore localizzato e più o meno intenso che il paziente riferisce.

Oltre ad essere dolente soprattutto alla palpazione e quando il paziente cerca di muoverla, la spalla può risultare gonfia e presentare ecchimosi dovute ad emorragie.

Può anche accadere che la spalla si presenti con un aspetto distorto, che suggerisce la presenza di lussazioni o sublussazioni.

Uno dei sintomi più evidenti di una lesione al legamento della spalla è l’instabilità articolare.

L’instabilità articolare si riferisce ad una condizione in cui il paziente avverte che la sua spalla non rimane nella normale posizione.

Essa è spesso causata da un trauma, a cui segue una lesione capsulo-legamentosa. L’instabilità che il paziente riferisce nel caso di un trauma è frequentemente unidirezionale, nella maggior parte dei casi anteriore. Si parla in questi casi di lesione di Bankart.

Il dolore o gli altri sintomi possono essere più o meno evidenti e intensi a seconda dell’entità del danno subito dal paziente, dal quale dipenderà anche il trattamento da intraprendere e la durata del percorso riabilitativo.

Cause

La causa più frequente di lesioni ai legamenti della spalla è una causa traumatica.

A subire una lesione dei legamenti per cause traumatiche sono soprattutto gli sportivi, in particolare chi pratica sport di contatto come rugby, calcio o arti marziali.

Tuttavia, a provocare lesioni ai legamenti della spalla possono essere sia traumi ad alta energia che a bassa energia.

I traumi a bassa energia sono generalmente rappresentati da cadute accidentali o da contusioni a cui si va incontro durante semplici attività quotidiane.

I traumi ad alta energia, al contrario, sono più intensi e dagli effetti potenzialmente più debilitanti, come nel caso di un incidente automobilistico.

dolore alla spalla

Trattamento e cura

Le lesioni ai legamenti possono attraversare tre fasi: quella infiammatoria, quella proliferativa e la fase di rimodellamento.

  • Fase infiammatoria: questa fase è successiva al trauma. In questo momento, a causa della contusione, possono verificarsi sanguinamento e infiammazione che provocano nel paziente la sensazione di dolore acuto.
  • Fase proliferativa: è la fase di inizio della guarigione. In questa fase iniziano infatti a rigenerarsi le fibre di collagene che sostituiranno quelle che sono state danneggiate a seguito del trauma.
  • Fase di rimodellamento: in questa fase si riacquista la mobilità della spalla grazie alla completa maturazione delle fibre di collagene che hanno sostituito quelle strappate.

La diagnosi di una lesione legamentosa avviene nel corso dell’esame fisico del paziente. La conferma della diagnosi può avvenire tramite risonanza magnetica o TAC. Può essere inoltre utile il ricorso ad una radiografia per escludere potenziali fratture.

I legamenti sono dotati di una discreta capacità riparativa, dunque il trattamento più frequente per queste lesioni è di tipo conservativo. Nell’attesa che la lesione arrivi alla fase proliferativa e successivamente a quella di rimodellamento, si cerca di immobilizzare l’arto.

Per il trattamento conservativo delle lesioni ai legamenti si tende ad utilizzare tutori o bendaggi funzionali. Il bendaggio funzionale impiega delle bende elastiche che permettono di proteggere l’arto da sollecitazioni eccessive o dolorose, preservando allo stesso tempo una discreta capacità di movimento per il paziente.

Particolarmente indicata per le lesioni ai legamenti è la terapia PRICE. L’acronimo PRICE indica gli elementi che compongono questa terapia:

  • Protezione (Protection): applicazione di tutori o bendaggi per evitare di subire nuove lesioni o di aggravare quella già presente;
  • Riposo (Rest): limitare l’attività fisica per accelerare il processo di guarigione;
  • Ghiaccio (Ice): da applicare per 15-20 minuti il più spesso possibile, preferibilmente entro le prime 24-48 ore dalla lesione;
  • Compressione (Compression): assieme al ghiaccio riduce gonfiore e dolore;
  • Sollevamento (Elevation): sollevare l’arto in modo da drenare i liquidi dalla lesione, favorendo la riduzione del gonfiore.

Mentre nei casi di lacerazione parziale delle fibre dei legamenti è sufficiente un intervento di tipo conservativo, in casi particolarmente gravi si può ricorrere ad un intervento chirurgico.

La chirurgia si rende necessaria soprattutto nel caso di lesioni di III grado che comportano la totale perdita funzionale del legamento.

Per aiutare il paziente nel recupero della mobilità, il fisioterapista esperto può insegnare al paziente alcuni esercizi: attraverso una corretta sollecitazione meccanica, infatti, si potrà favorire il corretto allineamento delle nuove fibre di collagene che hanno sostituito quelle danneggiate dal trauma.

Tali esercizi andranno svolti solo a seguito di una prima fase di riposo e di immobilizzazione dell’arto, onde evitare di peggiorare la lesione esistente o di provocarne di nuove.

I tempi di ripresa possono essere variabili e dipendono soprattutto dalla gravità della lesione, dall’età e dalla condizione fisica del paziente. Solitamente si impiegano diverse settimane, tra le 4 e le 6, per ottenere la completa guarigione.

Nei casi più gravi, come quelli che richiedono un intervento, possono essere necessari alcuni mesi per recuperare un buon livello di mobilità, anche se il tessuto riparato raramente tornerà all’originale forza tessile.

Prevenzione

Poiché ad essere soggetti a lesioni ai legamenti sono soprattutto gli sportivi, è opportuno che per prevenire tali lesioni venga sempre condotta un’adeguata sessione di stretching prima di ogni allenamento.

È bene inoltre prestare attenzione al modo in cui si svolge attività fisica: questo tipo di lesioni possono talvolta essere legate ad un’attività fisica svolta in maniera scorretta o ad uno sforzo eccessivo durante l’allenamento.

Alcuni importanti fattori protettivi della salute delle articolazioni sono strettamente legati allo stile di vita che si segue. I fattori di rischio che riducono l’afflusso di sangue agli arti periferici e aumentano il rischio di infiammazioni e lesioni ai legamenti includono:

  • Fumare;
  • Seguire un’alimentazione scorretta;
  • Un eccessivo consumo di alcolici.

Centro d’eccellenza a Roma Flaminio nel trattamento delle lesioni dei legamenti della spalla

Se pensi di avere una lesione a un legamento della spalla, non esitare a rivolgerti ad un medico ortopedico esperto.

Da Studio Fisiomedical troverai una grande equipe di medici ortopedici specializzati che collaborano insieme a dei fisioterapisti professionisti. Sarai seguito dal momento della diagnosi fino alla fase riabilitativa.

Studio Fisiomedical è una struttura innovativa dotata di palestra per lezioni di ginnastica posturale e apparecchiature all’avanguardia.

Puoi trovarci in zona Flaminio, in via Andrea Sacchi 35.

Per ulteriori informazioni o per prendere un appuntamento con uno dei nostri specialisti puoi chiamare al: 06 32651337

artrite reumatoide spalla

Artrite reumatoide: quali sono i sintomi alla spalla

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L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica che colpisce prevalentemente le articolazioni in modo simmetrico, specialmente quelle più piccole come quelle delle mani e dei piedi.

Bersaglio di questa malattia possono essere anche altre articolazioni più grandi, come le spalle. Generalmente, infatti, al suo esordio la malattia colpisce le piccole articolazioni, per poi coinvolgere, nel corso del tempo, anche quelle più grandi.

Il sintomo più evidente dell’artrite reumatoide consiste nel dolore e nella rigidità degli arti. La rigidità viene avvertita dal paziente soprattutto al risveglio o dopo un prolungato periodo di inattività. Tale rigidità tende a migliorare nel corso nella giornata.

Inoltre, le articolazioni, specialmente quelle più piccole, tendono a spostarsi dalla loro normale posizione, a deformarsi e spesso a bloccarsi in modo da limitare il movimento del paziente.

Circa nel 60-80% dei casi di artrite reumatoide si osserva un coinvolgimento della spalla.

Anche nel caso di artrite reumatoide della spalla, il coinvolgimento è frequentemente bilaterale e il paziente lamenterà una progressiva rigidità e dolore all’articolazione.

La spalla presenta cinque articolazioni. Quelle più colpite dell’artrite reumatoide sono due:

  • l’articolazione scapolo-omerale;
  • l’articolazione subacromiale.

I movimenti che risulteranno più dolorosi per il paziente saranno soprattutto quelli di abduzione (allontanamento dell’arto dall’asse mediano del corpo) ed extrarotazione (movimento rotatorio dell’arto attorno al proprio asse).

Il paziente lamenterà inoltre una progressiva limitazione della funzionalità della spalla.

L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica, dunque i suoi sintomi possono variare di intensità. I sintomi hanno generalmente un andamento ciclico, in cui periodi di sintomi acuti si susseguono a periodi di remissione, durante i quali dolore e rigidità articolare tendono a ridursi.

Cause

Sebbene le cause precise dell’artrite reumatoide non siano ancora note, si ipotizza che abbia un’origine autoimmune.

L’esordio di una malattia autoimmune si presenta nel momento in cui, in soggetti geneticamente predisposti allo sviluppo della patologia, un fattore scatenate attiva il sistema immunitario.

Tale attivazione anomala fa sì che il sistema immunitario attacchi le articolazioni, partendo da quelle più piccole delle mani e dei piedi, provocando le infiammazioni che causano dolore al paziente.

In particolare, il bersaglio dell’azione anomala del sistema immunitario è la membrana sinoviale.

La membrana sinoviale è un tessuto connettivo che produce il liquido sinoviale, necessario per la lubrificazione e per il nutrimento della cartilagine.

In una fase avanzata, l’artrite reumatoide può causare l’erosione di ossa, legamenti e cartilagini e provocare deformità e sviluppo di tessuto cicatriziale nelle articolazioni.

Pur non essendo ancora chiare le cause scatenanti di questa malattia, sono stati individuati alcuni fattori di rischio:

  • Sesso femminile: l’artrite reumatoide può essere fino a tre volte più frequente nelle donne che negli uomini;
  • Predisposizione genetica e familiarità alla malattia;
  • Fumo;
  • Obesità;
  • Infezioni virali (in particolare herpes e mononucleosi).

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Trattamento

Una diagnosi precoce dell’artrite reumatoide è molto rara. Ciò è dovuto al fatto che i sintomi riferiti dal paziente sono comuni a molte patologie. Inoltre, nell’esordio dell’artrite reumatoide si manifestano dei sintomi molto lievi, che tendono ad aggravarsi solo dopo diverso tempo.

Per questo motivo è importante affidarsi a dei medici esperti. Di fondamentale importanza è la figura del reumatologo, che si occuperà di condurre gli esami necessari per arrivare alla corretta diagnosi e per decidere il trattamento.

Per la diagnosi si utilizzano tre tipi di esami:

  • Esami del sangue: per verificare i livelli ematici del fattore reumatoide, anticorpi anti-CCP, proteina C-reattiva e VES;
  • Esame del liquido articolare;
  • Diagnostica per immagini: si utilizzano in particolare la radiografia e la risonanza magnetica, utili soprattutto per individuare alterazioni articolari anche in una fase precoce.

Il trattamento dell’artrite reumatoide è un trattamento prevalentemente conservativo.

Il trattamento agisce sui sintomi per ridurli, attraverso un cambiamento dello stile di vita del paziente, farmaci per la gestione del dolore e fisioterapia.

Le categorie di farmaci più utilizzate per il trattamento dell’artrite reumatoide sono:

  • Farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS): per trattare dolore e gonfiore alle articolazioni;
  • Farmaci antireumatici modificanti la malattia: sono i primi ad essere prescritti a seguito della diagnosi e hanno la funzione di rallentare il decorso della malattia;
  • Corticosteroidi e farmaci immunosoppressori: riducono l’azione del sistema immunitario.

Nei casi più gravi in cui il decorso dell’artrite reumatoide limita in maniera importante e invalidante il movimento del paziente, oppure nei casi in cui la terapia farmacologica non si rivela efficace, può essere necessario l’intervento chirurgico.

L’intervento chirurgico più efficace in una fase avanzata della malattia è la sostituzione dell’articolazione danneggiata con una protesi articolare.

Riabilitazione

Il trattamento riabilitativo dell’artrite reumatoide prevede l’associazione di farmaci alla fisioterapia.

Per ogni paziente dovrà essere elaborato un piano riabilitativo personalizzato che tenga conto di:

  • Stato della malattia;
  • Sintomi e livello del dolore riferito dal paziente;
  • Condizioni mediche del paziente;
  • Età del paziente.

Per questo motivo è fondamentale affidarsi ad un fisioterapista esperto in grado di definire un piano riabilitativo efficace e specifico per il paziente.

I trattamenti riabilitativi impiegabili per il trattamento dell’artrite reumatoide sono diversi, ma ogni trattamento va sempre eseguito in assenza di dolore da parte del paziente.

artrite reumatoide

Riabilitazione in acqua

Tra le terapie maggiormente indicate per il trattamento dell’artrite reumatoide vi è la riabilitazione in acqua.

Nella riabilitazione in acqua il paziente esegue alcuni esercizi riabilitativi, in particolare di mobilizzazione degli arti, rinforzo muscolare, rilassamento e allungamento muscolare, all’interno di una vasca d’acqua con temperatura di 32-33°C.

La riabilitazione in acqua è utile per svolgere degli esercizi riabilitativi riducendo il carico che muscoli e articolazioni devono normalmente sopportare.

Terapia manuale

La terapia manuale, come suggerisce il nome, si occupa del trattamento delle patologie muscolo-scheletriche attraverso l’uso delle mani.

In questa terapia si utilizzano diverse tecniche, come ad esempio:

  • Linfodrenaggio;
  • Massoterapia;
  • Mobilizzazioni degli arti;
  • Modifica della postura.

Elettroterapia

L’elettroterapia impiega delle correnti elettriche che vengono indirizzate in alcuni punti del corpo con un obiettivo terapeutico.

Nel caso dell’artrite reumatoide si impiega la stimolazione elettrica transcutanea nervosa (TENS) per ridurre il dolore.

La TENS prevede l’applicazione di elettrodi nella zona dolorante. Questi elettrodi rilasciano dei micro-impulsi elettrici che stimolano in maniera selettiva i nervi periferici, riducendo la sintomatologia dolorosa.

Laserterapia

La laserterapia prevede l’utilizzo terapeutico della tecnologia del laser.

Il laser viene apposto sulla parte del corpo da sottoporre a trattamento. I raggi laser, rilasciando energia, hanno diversi effetti terapeutici, antidolorifici e antinfiammatori.

Di particolare importanza nel caso dell’artrite reumatoide è l’effetto di riscaldamento del tessuto, che provoca un immediato sollievo dal dolore e dalla rigidità articolare.

Ultrasuonoterapia

L’ultrasuonoterapia impiega ultrasuoni ad alta frequenza, non udibili dall’orecchio umano, erogati attraverso un trasduttore sulla zona interessata dal trattamento.

È una terapia non invasiva e non dolorosa, che presenta importanti effetti benefici, in particolare di riduzione del dolore e dell’infiammazione.

Crioterapia

La crioterapia consiste nell’utilizzo del ghiaccio con lo scopo di ridurre il dolore che il paziente prova. Il ghiaccio, infatti, è in grado di produrre un effetto analgesico grazie alla sua azione sulla circolazione del sangue.

Nella crioterapia, il paziente viene esposto a temperature rigide per pochi minuti; inoltre la crioterapia può essere applicata anche a livello locale, coinvolgendo una sola parte del corpo. È una terapia indolore e ben sopportata dai pazienti.

Prevenzione

L’artrite reumatoide è una patologia autoimmune. Dunque, è bene specificare che, sebbene la prevenzione sia importante, il decorso della malattia dipenderà fortemente dalla risposta del sistema immunitario del paziente.

L’artrite reumatoide insorge più frequentemente tra i 40 e i 60 anni. Per prevenire l’insorgenza di questa malattia è fondamentale, soprattutto in questa fascia d’età, mantenere uno stile di vita sano.

Abbandonare il fumo di sigaretta, ad esempio, permette di eliminare uno dei maggiori fattori di rischio dell’artrite reumatoide.

Un altro fattore protettivo contro l’artrite reumatoide è la dieta.

In particolare, alcuni studi hanno dimostrato l’importanza degli acidi grassi Omega-3 nella riduzione e nella prevenzione dell’infiammazione che caratterizza l’artrite reumatoide.

Anche un adeguato e regolare esercizio fisico costituisce un fattore protettivo contro l’artrite reumatoide.

L’esercizio fisico è considerato anche un fattore preventivo della riacutizzazione dei sintomi in pazienti affetti da artrite reumatoide. Tuttavia, è fondamentale che l’esercizio fisico in questi pazienti sia accuratamente supervisionato da uno specialista e che non venga eseguito in condizioni di dolore fisico.

Dove trovare un centro specializzato nella riabilitazione a Roma

Se sospetti di soffrire di artrite reumatoide, non aspettare. Contatta subito uno specialista.

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Riabilitazione vestibolare

Cos’è la riabilitazione vestibolare

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La riabilitazione vestibolare è una terapia impiegata per trattare disturbi che coinvolgono il sistema vestibolare.

Il sistema vestibolare è una componente dell’orecchio interno. Svolge una funzione fondamentale nel garantire il senso di equilibrio del corpo, il senso dell’orientamento e nel coordinare i movimenti. Danni a questo sistema potrebbero causare nel paziente una sensazione di instabilità e di insicurezza, compromettendo dunque lo svolgimento delle attività quotidiane.

Quando serve

La riabilitazione vestibolare è utile per il trattamento di disturbi quali vertigini, perdita dell’equilibrio, mal di testa, parestesie, nausea e vomito. La riabilitazione vestibolare può essere utile anche a persone anziane che, nel corso del progressivo invecchiamento, lamentano disturbi dell’equilibrio e temono il rischio di una caduta.

Tali sintomi possono essere ricondotti a diverse condizioni cliniche, tra cui:

  • Labirintite
  • Neuronite vestibolare
  • Malattia di Menière
  • Cervicalgia
  • Traumi cranici

Dopo aver ottenuto una diagnosi che escluda il collegamento dei sintomi con disturbi neurologici o vascolari, si procede nel definire un programma di rieducazione vestibolare.

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Come si svolge

A seguito di un accurato esame vestibolare, il medico specialista definisce un programma di riabilitazione vestibolare. Il programma è pianificato sulla base dei sintomi che il paziente riferisce, dunque personalizzato.

Il programma comprende una serie di sedute in cui vengono insegnati al paziente alcuni esercizi vestibolari, integrati da alcune sedute di terapia manuale.

Gli esercizi possono riguardare tre zone del corpo:

  • La zona del tronco
  • La zona cervicale
  • La zona oculare

Il fisioterapista esperto potrà assegnare al paziente alcuni esercizi da svolgere autonomamente, a casa, in maniera quotidiana. Gli esercizi di riabilitazione vestibolare sono finalizzati a favorire nel sistema vestibolare un’attività adattiva e compensatoria, in modo da ridurre i sintomi riferiti dal paziente. Ad esempio, gli esercizi possono essere impiegati per migliorare il controllo della postura e della visione durante il movimento, combattendo la sensazione di mancanza di equilibrio.

In particolare, i meccanismi su cui si basa la rieducazione vestibolare sono tre:

  • Assuefazione: identificando le situazioni o i movimenti che provocano vertigini nei pazienti, è possibile fornire al paziente una serie di esercizi che riproducono tali movimenti. Questa procedura è adottata al fine di abituare il paziente alla sensazione di disorientamento, provocando così gradualmente la riduzione e la sparizione delle vertigini.

 

  • Adattamento vestibolare: attraverso una serie di esercizi si cerca di migliorare il riflesso vestibolo-oculare. Quando questo riflesso è inadeguato, infatti, i movimenti rapidi della testa tendono ad essere accompagnati dall’instabilità del campo visivo.

 

  • Sostituzione vestibolare: nel caso di un riflesso vestibolo-oculare carente, si può lavorare sul potenziamento di altri centri di controllo del movimento oculare per ridurre la sensazione di instabilità del campo visivo.

Quali sono le strumentazioni e le competenze necessarie

Il programma di riabilitazione vestibolare può prevedere l’utilizzo di strumenti dedicati alla rieducazione vestibolare.

Tali strumenti consistono prevalentemente in pedane oscillanti. Le pedane oscillanti vengono impiegate in diversi esercizi di ginnastica propriocettiva, ovvero esercizi pensati per favorire il potenziamento della capacità di equilibrio e di controllo del corpo da parte del paziente.

La pedana stabilometrica, ad esempio, viene impiegata nel test stabilometrico statico e dinamico per raccogliere informazioni sulla capacità del paziente di mantenere l’equilibrio. Può essere utilizzata anche per valutare e trattare le disfunzioni posturali attraverso esercizi che introducono una condizione di disequilibrio. Questo consente di valutare la risposta propriocettiva proveniente dal corpo.

Gli esercizi di riabilitazione vestibolare includono:

  • Rieducazione posturale
  • Esercizi di equilibrio
  • Esercizi per la mobilità del collo
  • Esercizi per la stabilizzazione dello sguardo

La terapia di riabilitazione vestibolare deve essere svolta in un centro specializzato, dotato di una palestra fornita di tutti gli strumenti necessari, e deve essere seguita da terapisti della riabilitazione specializzati. La terapia vestibolare è competenza di un’équipe multidisciplinare composta da medici otorinolaringoiatri, tecnici audiometristi e fisioterapisti.

Quali sono gli specialisti coinvolti

È fondamentale che il paziente sia seguito in modo adeguato a partire dal momento della diagnosi, affidandosi a uno specialista come il tecnico audiometrista.

Il tecnico audiometrista si occupa infatti di svolgere le necessarie indagini diagnostiche dell’orecchio, sia nella sua componente uditiva che vestibolare. Questo specialista esegue test di funzionalità vestibolare e collabora nella riabilitazione in caso di patologie vestibolari coordinandosi con il fisioterapista esperto.

vertigini

Quali sono i benefici

I benefici legati alla riabilitazione vestibolare sono molteplici e possono essere fondamentali affinché il paziente possa vivere in serenità le sue attività quotidiane.

Tra i principali benefici troviamo:

  • Miglioramento dell’equilibrio
  • Riduzione delle vertigini
  • Riduzione del rischio di cadute, importante soprattutto per i pazienti anziani
  • Possibilità di ritornare alle attività quotidiane interrotte o ostacolate dalla comparsa dei sintomi

È dolorosa?

La rieducazione vestibolare non è dolorosa.

Tuttavia, l’esame vestibolare e alcuni esercizi potrebbero portare alla comparsa delle vertigini. Questo non deve però scoraggiare o spaventare il paziente, poiché la finalità della riabilitazione è proprio quella di favorire un meccanismo adattivo che permetta di ridurre ed eliminare i sintomi riferiti dal paziente.

Quanto dura

Generalmente, la durata della riabilitazione vestibolare si attesta attorno alle 6-8 settimane, durante le quali si effettuano 1-2 sedute a settimana.

Tuttavia, la durata della terapia vestibolare è variabile e dipende da diversi fattori, tra cui:

  • La gravità della condizione e dei sintomi
  • La risposta alla terapia
  • L’età del paziente
  • La sua forza di volontà

Alcuni pazienti potrebbero aver bisogno solo di poche sedute, mentre altri richiedono un trattamento prolungato con sedute regolari nel corso di alcuni mesi.

I tempi di recupero della riabilitazione vestibolare dipendono anche dalla costanza con cui il paziente effettua autonomamente gli esercizi che il professionista gli assegna. Una volta appreso il modo corretto di svolgere gli esercizi, il paziente è infatti invitato a svolgerli anche a casa in maniera quotidiana per accelerare il processo di riabilitazione.

Costi

La riabilitazione vestibolare ha un costo variabile. È infatti necessario considerare alcuni fattori, quali la durata della terapia e il tipo di prestazione necessaria al paziente.

Sul nostro sito è possibile verificare se si ha diritto ad una copertura assicurativa per usufruire delle nostre visite specialistiche e dei nostri pacchetti di fisioterapia e riabilitazione in convenzione. Hai bisogno di aiuto nel compilare la domanda? Un nostro tutor ti affiancherà gratuitamente per aiutarti a richiedere la prestazione di cui necessiti.

Dove trovare un centro d’eccellenza nella riabilitazione motoria a Roma Flaminio

Studio Fisiomedical è un centro in cui potrai trovare un’equipe di medici specializzati e fisioterapisti che collaborano per poter dare ai loro pazienti i migliori risultati.

Verrai assistito passo dopo passo, dalla prima visita in cui verrà diagnosticato il problema, alla riabilitazione per una piena e totale guarigione.

Studio Fisiomedical si trova in zona Flaminio, Via Andrea Sacchi n.35.

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riabilitazione motoria

Cos’è e cosa si intende per riabilitazione motoria

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La riabilitazione motoria è un percorso terapeutico che consente al paziente di recuperare le sue capacità motorie a seguito di una lesione, un intervento chirurgico, un trauma o una patologia.

Il percorso di riabilitazione motoria viene stabilito da uno specialista, ortopedico o fisiatra, in collaborazione con un fisioterapista. L’equipe di professionisti ha il compito di valutare attentamente la condizione del paziente e l’entità del danno subìto.

In seguito a tale valutazione, verranno stabiliti gli esercizi di fisioterapia o le tecniche più adatte per aiutare il paziente a recuperare l’autonomia di movimento.

Quando serve

Diversi sono i casi in cui la riabilitazione motoria può essere importante per il paziente. Questo percorso è utile nei casi in cui una condizione patologica o una lesione abbiano compromesso la qualità o l’autonomia di movimento del paziente.

  • Spesso, chi subisce infortuni o traumi di diversa entità (ad esempio i traumi stradali dovuti ad un incidente) può beneficiare del percorso di riabilitazione motoria per ridurre il dolore, migliorare la sua condizione fisica e motoria e ottenere nuovamente la sua indipendenza.

 

  • Alcuni traumi o infortuni particolarmente gravi possono richiedere la sostituzione della parte del corpo danneggiata con una protesi. In questi casi la riabilitazione motoria è fondamentale per rieducare il paziente a convivere correttamente con questa condizione e migliorare le sue capacità motorie.

 

  • La riabilitazione motoria può essere effettuata anche in bambini e adolescenti per trattare alcuni problemi legati all’età evolutiva, quali scoliosi e piattismo plantare, oppure in seguito a traumi di diversa gravità, come nel caso delle fratture.

 

  • Di questo tipo di intervento possono beneficiare anche pazienti che soffrono di patologie a carico del sistema cardiovascolare, respiratorio o di patologie reumatologiche (ad esempio l’artrite reumatoide). Tali condizioni, infatti, possono compromettere la capacità di movimento del paziente o provocare affanno nelle sue attività quotidiane.

 

  • Infine, anche chi soffre di patologie a carico del sistema nervoso centrale o periferico può necessitare di un percorso riabilitativo. Esempi di patologie del sistema nervoso che possono compromettere il movimento sono l’ictus e la sclerosi multipla. In questi casi si parla di riabilitazione neuromotoria.

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Come si svolge

La riabilitazione motoria si compone di due momenti:

  • Valutazione fisioterapica;
  • Definizione del programma riabilitativo.

La valutazione fisioterapica è il primo momento della riabilitazione motoria.
In questa fase l’equipe composta da specialisti fisiatri, ortopedici e fisioterapisti conosce il paziente, ascolta e studia i sintomi che riferisce e arriva alla comprensione di quale sia il problema su cui andare a intervenire con la riabilitazione.

La valutazione fisioterapica richiede anche di condurre un esame fisico con test di palpazione e di movimento, al fine di valutare accuratamente la condizione del paziente.

Al termine di questa prima fase l’equipe sarà in grado di valutare, in base alla gravità del danno subìto dal paziente, le possibilità di recupero.
Dopo aver compreso in maniera completa il quadro di salute e l’entità della lesione del paziente, si procede a definire un piano terapeutico per la riabilitazione motoria del paziente: esso può prevedere l’esecuzione di esercizi e l’utilizzo di specifiche tecniche e tecnologie utili alla rieducazione funzionale.

Il piano terapeutico viene programmato e attuato dall’ortopedico o dal fisiatra in collaborazione con il fisioterapista.

Quali sono le tecniche e le tecnologie utilizzate per la riabilitazione motoria

 

tecniche di riabilitazione motoria

Gli specialisti nella riabilitazione motoria possono decidere di lavorare con il paziente utilizzando diverse tecniche, da valutare in base alle condizioni di salute e alle preferenze del paziente.

Fisioterapia manuale

Questo tipo di tecnica indica l’insieme dei trattamenti che possono essere eseguiti dallo specialista mediante l’uso delle mani. Questa terapia viene utilizzata per trattare il dolore del paziente, migliorare la mobilità articolare e correggere una postura scorretta. La terapia manuale include ad esempio la massoterapia, la chiropratica e il linfodrenaggio.

Riabilitazione in acqua

Particolarmente utile sia in preparazione che in seguito all’intervento chirurgico, la riabilitazione in acqua permette di rafforzare gradualmente i muscoli riducendo il peso del corpo. Riducendo la forza di gravità, questo tipo di terapia consente al paziente un recupero graduale.

Chinesiterapia

È una terapia che, come suggerisce il nome, avviene attraverso il movimento.

Nella chinesiterapia il movimento del paziente può essere

  • passivo (quando è svolto dal fisioterapista o dal chinesiterapista)
  • assistito (quando è svolto dal professionista con la parziale collaborazione del paziente)
  • attivo (quando è svolto esclusivamente dal paziente).

Tra le tecnologie maggiormente impiegate per la riabilitazione motoria troviamo:

Magnetoterapia

Ampiamente diffusa con l’utilizzo di onde elettromagnetiche a bassa frequenza ed alta intensità, questa terapia ha dimostrato importanti effetti benefici per l’organismo, in particolare effetti analgesici, anti-infiammatori e di rigenerazione dei tessuti.

Oltre ai suoi effetti benefici, ci sono diversi vantaggi nell’uso della magnetoterapia: è una terapia sicura, priva di effetti collaterali, non provoca dolore e non è una procedura invasiva.

Elettroterapia

Attraverso l’uso di stimolazioni elettriche nella zona di interesse si producono effetti di stimolazione neuromuscolare. Questa terapia è particolarmente indicata per la riduzione del dolore.

Ultrasuoni

La terapia con ultrasuoni viene erogata attraverso un transduttore che emette una vibrazione a frequenza ultrasonora, la quale riesce a generare un effetto terapeutico anche in profondità. L’utilizzo degli ultrasuoni è indicato soprattutto per il trattamento delle malattie reumatiche e delle contratture, oltre che per migliorare la guarigione delle fratture.

Tecarterapia

Utilizza un dispositivo che “massaggia” la zona soggetta a trattamento ed è in grado di riparare tessuti e abbreviare i tempi di guarigione generando calore sottocutaneo. La tecarterapia impiega due modalità: quella capacitiva e quella resistiva. Mentre la prima viene utilizzata su tessuti molli e superficiali, la seconda agisce sui tessuti ossei.

Scrambler Therapy

Questa terapia è impiegata soprattutto per i pazienti con dolore cronico resistenti ad altri trattamenti. La scrambler therapy è indicata per i casi di neuropatia, ovvero di un dolore causato da un danno a una componente del sistema nervoso periferico, in particolare ai nervi.

Attraverso l’applicazione di elettrodi cutanei, il dispositivo impiegato per la scrambler therapy rilascia impulsi elettrici di bassa intensità. Questa procedura è in grado di azzerare il dolore per tutta la durata del trattamento, e tale effetto benefico gradualmente permane anche in seguito alle sedute di terapia.

Quali sono gli specialisti che devono intervenire

specialisti di riabilitazione motoria

È importante che il programma di riabilitazione motoria sia definito e seguito da un ortopedico o da un fisiatra con la collaborazione di un fisioterapista esperto.

È consigliabile svolgere le sedute di riabilitazione motoria in un centro specializzato dove siano presenti tutte le strumentazioni e le tecnologie necessarie a favorire il recupero della mobilità e dell’autonomia del paziente.

Quali sono i benefici

Come abbiamo spiegato, la riabilitazione motoria è un intervento fondamentale per riacquisire o migliorare la mobilità persa o danneggiata.

I benefici della riabilitazione motoria sono molteplici:

  • Recupero della mobilità
  • Riduzione, gestione o eliminazione del dolore
  • Aumento della forza dei muscoli
  • Vascolarizzazione e rigenerazione dei tessuti

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È dolorosa?

Il dolore percepito durante il percorso di riabilitazione motoria è soggettivo. Il professionista a cui ci si affiderà cercherà sempre di lavorare per migliorare la condizione del paziente, rispettando le esigenze della persona e tenendo in considerazione la sua soglia del dolore.

Durata

La durata della riabilitazione motoria può essere variabile e dipende da diversi fattori. È necessario tenere in considerazione, ad esempio, l’età del soggetto, la sua forza di volontà, il danno che ha subìto e il tipo di terapia intrapresa.

Costi

Il costo delle sedute di riabilitazione motoria varia in base al tipo di terapia che la condizione del soggetto richiede.

Nel nostro studio offriamo visite specialistiche, pacchetti di fisioterapia e di riabilitazione in convenzione con diverse assicurazioni.

Sul nostro sito puoi verificare con quale assicurazione è convenzionata la tua azienda ed essere guidato gratuitamente da un tutor nella compilazione della domanda per richiedere la prestazione sanitaria di cui hai bisogno.

Dove trovare un centro d’eccellenza nella riabilitazione motoria a Roma Flaminio

Studio Fisiomedical è un centro in cui potrai trovare un’equipe di medici specializzati e fisioterapisti che collaborano per poter dare ai loro pazienti i migliori risultati.

Verrai assistito passo dopo passo, dalla prima visita in cui verrà diagnosticato il problema, alla riabilitazione per una piena e totale guarigione.

Studio Fisiomedical si trova in zona Flaminio, Via Andrea Sacchi n.35.

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esercizi riabilitazione spalla

I 10 esercizi consigliati per la riabilitazione della spalla

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La spalla è un’articolazione complessa composta da:

  • tre ossa (omero, scapola e clavicola) e quattro legamenti;
  • tendini, muscoli e nervi che permettono il movimento;
  • vasi sanguigni che garantiscono la sopravvivenza dei tessuti.

La spalla ha la funzione di unire al tronco il braccio e la mano e di permettere il loro movimento.

La sua conformazione anatomica molto particolare garantisce un movimento completo della spalla nelle tre direzioni dello spazio e di coordinare i movimenti del braccio con quelli del busto.

Nonostante la sua resistenza e stabilità, la spalla può spesso andare incontro a fratture, lussazioni, lesioni ed altre condizioni invalidanti (spalla bloccata, capsulite adesiva, sublussazione etc.).

Alcune di queste condizioni dovute ad usure o ad eventi traumatici comportano un intervento chirurgico immediato basato sulla sostituzione di alcune componenti danneggiate della spalla con una protesi.

Altre necessitano di sessioni di riabilitazione per garantire nuovamente un movimento funzionale dell’articolazione danneggiata.

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Quali sono gli esercizi per la riabilitazione della spalla?

Il pendolo

È un esercizio che può essere effettuato da: seduti, in piedi e in posizione prona.

Rilassare completamente il braccio e compiere dei piccoli movimenti di oscillazione o circonduzione con un peso di massimo 2kg.

Ripetere l’esercizio per circa 2-3 minuti.

Rotazione prono supinazione

Posizionarsi accanto ad un tavolo e appoggiare il braccio sano con il tronco piegato in avanti.

Ogni movimento deve essere svolto con un peso leggero di circa ½ Kg. Svolgere dei piccoli movimenti di rotazione in senso orario e antiorario.

Eseguire questo esercizio per circa 2-3 minuti.

Flessione

L’esercizio può essere svolto da seduti, in piedi e in posizione supina.

Iniziare incrociando le dita tra loro, con le braccia tese in appoggio sull’addome.

Sollevare lentamente le braccia sopra la testa sino a quando non si avverte uno stiramento. Riportare le braccia sull’addome.

Mantenere la posizione per circa 20 secondi, ripetendo questo esercizio 3 volte.

Stretching dei pettorali

Posizionarsi di fronte ad una porta aperta e appoggiare le mani e gli avambracci ai montanti laterali. I gomiti dovranno essere flessi a 90° e allo stesso livello delle spalle.

Procedere avanzando lentamente e con piccoli movimenti sino a quando non si avverte uno stiramento nella zona anteriore delle spalle.

Ripetere l’esercizio 3 volte per 20 secondi.

Estensione dell’arto

Sedersi ad un tavolo con il braccio interessato appoggiato su di esso.

Portare in avanti il corpo, stendendo il braccio sino a quando non si avverte uno stiramento.

Ripetere l’esercizio, piegandosi di lato con il tronco e stendendo lentamente l’arto interessato.

Abduzione e adduzione

riabilitazione spalla

In piedi e in posizione eretta, stendere il braccio interessato appoggiando la mano sulla coscia.

Sollevare il braccio effettuando movimenti lenti e cauti. Ritornare alla posizione di partenza.

Ripetere l’esercizio per 5 volte.

Stabilità della scapola

esercizi spalla dolorosaPosizionarsi in piedi con il tronco rivolto verso il muro e le braccia allargate verso l’esterno. I gomiti devono essere flessi a 45° gradi e appoggiati alle pareti.

Per facilitare l’esecuzione dell’esercizio, interporre un asciugamano o un cuscino tra i gomiti e la parete.

Spingere i gomiti contro le pareti portando il busto in avanti e mantenendo questa posizione per circa 20 secondi. Svolgere questo esercizio per 10 volte.

Rotazione interna

esercizi elastico spalla

Servirsi di un elastico per poi afferrare la sua estremità superiore con l’arto sano e quella inferiore con l’arto danneggiato.

Portare l’elastico dietro la schiena. Portare verso l’alto l’elastico e mantenere la posizione di sollevamento per circa 5 secondi.

Ripetere l’esercizio 10 volte.

Estensione della spalla

Procurarsi un elastico e portarlo dietro la testa. Mantenere i gomiti estesi al livello dei fianchi e i palmi delle mani in posizione prona (all’indietro).

Procedere con un movimento lento, spingendo all’indietro l’elastico in modo da allontanarlo dal corpo senza mai flettere il busto in avanti.

Portare l’elastico verso l’alto con entrambe le mani.

Svolgere l’esercizio effettuando 10 ripetizioni per lato per 5 secondi.

Anteposizione e retrazione delle spalle

L’esercizio va svolto in piedi mantenendo la schiena dritta.

Portare le spalle in avanti mantenendo la posizione per 2 secondi. Ripetere l’esercizio all’indietro, con le spalle verso l’esterno.

Tornare alla posizione di partenza e ripetere l’esercizio per 10 volte.

A chi rivolgersi per accelerare la riabilitazione ed assicurarsi che tutto proceda per il meglio

Per accelerare la riabilitazione ed assicurarsi che tutto proceda per il meglio è necessario affidarsi ad un fisioterapista.

Il fisioterapista può fornirti una valutazione adeguata della condizione d’interesse e individuare un programma di riabilitazione basato sulle tue caratteristiche ed esigenze.

Dove trovare un centro d’eccellenza a Roma

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